ARISTOCRAZIA
II.
IL
SEGRETO DI MATTEO ARPIONE
ROMANZO
DI
VITTORIO BERSEZIO
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1881.
Tip. Treves.
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[1]
Era una triste giornata nel palazzo Sangrédi Valneve: l’anniversario della morte del conte-presidente.
Già quattro volte era tornato questo giornofunesto e sempre tutti i componenti della famiglias’erano raccolti a celebrarlo solennemente,con mite, ma sincero e profondo cordoglio.Il primogenito Ernesto, diventato maggioredopo il suo ritorno dalla Crimea, accorrevada qualunque luogo in cui egli si trovasse diguarnigione, fosse pur la Sardegna; i coniugiRespetti-Landeri venivano da Milano, e tuttiquanti si erano trovati aggruppati intorno alletto di morte di quell’uomo giusto, si ritrovavanodi nuovo raccolti a rievocarne più vivain quel giorno la memoria, a confermare connuove lagrime il rimpianto della sua perdita,[2]a invocare con più ardenti preghiere la benedizionedello spirito di lui sul capo dei superstiti.
La giornata soleva così occuparsi. Al mattinodi buona ora tutti s’accoglievano nella gransala dei ricevimenti solenni, dove nel centrodella maggior parete, al punto più in vista, alposto d’onore, stava il ritratto di grandezzanaturale del defunto, circondato quel giorno difiori e di corone frescamente raccolti e intrecciate.Dopo essersi un poco trattenuti colà aparlare di lui, in presenza dell’immagine di lui,si recavano tutti alla messa funebre che si facevadire alla parocchia in suffragio di quell’anima,poi, tornati a casa, si visitava la camerain cui il conte era morto, la quale si conservavaprecisissimamente nello stato in cui trovavasiin quel fatale momento, e della qualeil solo vecchio Tommaso curava la pulitezzae l’assetto; là ciascuno, in silenzio, o pregavao meditava, contemplando quel letto in cuicerto gli pareva scorgere ancora il pallidoviso e la nobile fronte del virtuoso, retto, integerrimogentiluomo. Più tardi, dopo un pastopreso in comune, tutta la famiglia partiva pelvillaggio di Valneve, dove nel sepolcreto incui da secoli scendevano a giacere i Sangré,sotto una lapide che portava incisi soltanto unnome e una data, si sfaceva la salma di quell’uomo[3]benedetto. Là nuove preghiere, nuovelagrime, nuova e che pareva ancora maggiorecomunicazione fra i vivi sempre memori e ildiletto estinto sempre diletto, e che certo nonaveva neppure nell’altra vita dimenticato i suoicari, il suo sangue.
L’ora è affatto mattutina: nel gran saloneil vecchio Tommaso, solo, sta disponendo,rassettando, attacca i fiori alla cornice del ritratto,spolvera, ordina le seggiole; di bellevolte si interrompe nel lavoro, getta unosguardo su quella mesta, un po’ severa, mabuona faccia d’uomo dipinta, scuote il capo,sospira e si rasciuga gli occhi.
A un tratto ode nella stanza vicina un passoaccostarsi, un passo d’uomo franco, risoluto,affrettato: egli lo riconosce: le sue vecchielabbra sorridono lievemente; si volge con lietaa